Siamo
appena rientrati da una veleggiata, col fido “OLD TOY”, da Marina
di Grosseto all’isola di Giannutri, l’ultima isoletta verso sud
dell’Arcipelago Toscano, a otto miglia nautiche dall’isola del
Giglio. Col bel tempo abbiamo ormeggiato in Cala Maestra poi, col
tender, ci siamo portati a una scalinata che, dalla spiaggia, risale
fino alle rovine di un’antica villa che occupa ben cinque ettari.
Ogni piè sospinto ci sono vecchi cartelli arrugginiti che vietano la
visita a quelle splendide vestigie romane. Dovremmo rispettarli ma
nemmeno chi è preposto alla conservazione di questi luoghi sembra
rispettare il passato e allora anche noi ce ne freghiamo. Le
informazioni del web, dai nostri cellulari, raccontano che quella
villa meravigliosa fu costruita attorno agli anni 29 d.C. da Gneo
Domizio Enobarbo. Chi era costui? Ma soprattutto chi glielo aveva
fatto fare di costruire in un luogo così remoto, per quei tempi, e
perfino senz’acqua potabile? Gneo, quando non pioveva, l’acqua se
la doveva portare da Roma, via mare, con le anfore e gli otri per
riempire le cinque immense cisterne comunicanti che aveva fatto
scavare sotto la villa. Una vera schiavitù. E infatti lui aveva
centinaia, di schiavi. Quelli che avevano costruito la villa con
marmi preziosi, colonne, mattoni, sacchi di pozzolana (il
calcestruzzo dell’epoca) e migliaia di marmetti colorati, le
tessere necessarie alla composizione di vari mosaici, tra cui uno
molto grande col Minotauro che oggi, dopo averlo asportato e
restaurato, la Soprintendenza Archeologica Toscana ha sepolto in
qualche cantina delle loro. Ma torniamo al passato. Altri schiavi
avevano poi sostituito i costruttori per la conduzione domestica e la
manutenzione dei giardini. Gneo era il Dominus (ovvio con un cognome
come il suo) e quando arrivava con la sua galera personale, la
risalita dal porticciolo, tramite la stessa scala che avevamo fatto
noi ansimando, lui la faceva comodamente in una portantina speciale a
tre inclinazioni. Una per la salita, una per la pianura e una per la
discesa. Da lì aveva avuto origine il nome triclinio (abusato anche
da chi si metteva a tavola)
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