INTORNO
AL FUOCO
Rubrus
«Attenta
agli striscianti notturni».
Udimmo
i passi di Barbara frusciare tra l’erba, poi fermarsi.
«Che
roba è?» chiese dal buio.
Roberto
esitò, agitando con uno stecco la brace del fuoco morente.
«Vanno
in giro di notte. Si orientano col calore del corpo. Non li senti
finché non ti mordono».
Ci
sembrò che sogghignasse, ma poteva essere un gioco di luci e ombre
creato dal riverbero delle fiamme.
Seguì
un lungo silenzio, poi udimmo i passi di Barbara avvicinarsi.
Massimo
si spostò e lei si sedette accanto a Roberto lanciandogli uno
sguardo astioso. Gli occhiali di lui le restituirono uno scintillio
indifferente.
«Dove
eravamo rimasti?» chiese Roberto.
Eravamo
seduti tutti e sette intorno al fuoco e ci raccontavamo storie del
terrore. O meglio, Roberto raccontava e noi ascoltavamo.
«Il
tipo tira su la tipa che fa l’autostop. Sta piovendo» disse Luigi.
«Ah,
già» confermò Roberto bevendo un sorso d’acqua. Non che ne
avesse bisogno: gli serviva per creare la suspence. Era un trucco del
cavolo, ma funzionava, cribbio se funzionava.
Quella
storia, ad esempio, quella dell’autostoppista; l’avevamo sentita
tutti, almeno una dozzina di volte, ma non così, non raccontata da
Roberto. Non era la stessa cosa.
Non
chiedetemi perché. Non dipendeva da quei trucchetti da quattro soldi
come tenere le parti più spaventose alla fine, quando la luce del
fuoco scemava e la notte era uno straccio gelido che si appoggiava
sulla schiena.
Era
talento, credo. Una specie di potere.
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