La
sedia a dondolo
di
Annalisa Rizzi
Non
riesci a smettere di pensarci. Non puoi farne a meno.
Ti
ronza nella testa come un moscone insistente, anzi, peggio, come
un’orda di insetti svolazzanti e impazziti. È come se avessi un
registratore inceppato in mezzo alle orecchie, che non fa che
ripetere la stessa cosa. La. Stessa. Cosa. Senza poterlo fermare.
Così, allo sfinimento.
E
ripete e ripete e ripete.
Sei
impazzito, lo sai.
E
sai che è successo nel momento in cui hai ritrovato quel maledetto
baule. Perché avresti dovuto aprirlo? Cosa diavolo credevi di
trovarci dentro? E invece no, dovevi sbirciare all’interno, che tu
sia maledetto. Dovevi rimestarci dentro. Dovevi ritrovarti tra le
mani quella dannatissima fotografia. Quella tutta ingiallita con i
bordi bianchi. Quella in cui tuo nonno è solo un bambino che posa su
di una sedia a dondolo, con quella strana espressione sul volto.
Quella
sedia. Oh, Dio.
Tutto
è cominciato quando hai ereditato la casa di tua nonna.
Tu
e Rita vi siete entrati per la prima volta, e c'era quella maledetta
sedia al centro del soggiorno. Era coperta di polvere, ammuffita in
più punti. Era piena di buchi e di ragnatele.
A
Rita piaceva. Aveva voluto ripulirla. Tua figlia Roberta non faceva
che gironzolarci intorno. Le avevi vietato di salirci, secondo te non
era più robusta come un tempo, se ci si fosse seduta e dondolata la
sedia avrebbe potuto cedere sotto il suo peso. Roberta sarebbe potuta
cadere e ferirsi.
Ma
la piccola ignorò il divieto. La tua bambina ci si issò sopra, e la
sedia emise uno scricchiolio spaventoso.
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