domenica 25 ottobre 2015

[Arcobaleno d'inchiostro] - Six Stars,Cristina Cornelio (incipit)

Six Stars

Il medico era stato tanto chiaro quanto disarmante. Sarebbe stata questione di due o tre giorni al massimo.
Laura affondò con amore i suoi occhi dentro quelli smarriti del marito.
-Devi andartene, Zach – gli disse dolcemente, accarezzandogli la mano tormentata dalla flebo.
Lo psicologo, messo a disposizione dalla clinica, li aveva appena lasciati. Quello era stato l’ultimo incontro. Tutte prestazioni incluse nel costosissimo pacchetto assicurativo Six Stars che avevano stipulato anni prima per l’intera famiglia.
-Non avrai più forze dopo, devi farlo ora – aggiunse il loro figlio maggiore, Selim.
La piccola Helena, che sembrava giocare indifferente con il tablet del fratello ai piedi del letto, esplose in uno squillante: - Io vengo con te, papà!- .
-Andiamo a prendere un succo per papà, Hely? E anche per te, mamma e me – fece Selim, attirando la sorella fuori dalla stanza.
- Ti perderebbe comunque, lo sai – disse Laura con delicatezza al marito, appena i figli si furono allontanati.
-Lo so- rispose Zach, con un soffio di voce – lo so -.

Alla presenza della moglie, dell’Ispettore della Compagnia di Assicurazioni, dell’Ufficiale doganale e dello staff medico, il trapasso avvenne la prima notte di luna nuova del mese.
Trasportato da un potente gravitone, Zach saltò nell’universo parallelo più vicino, senza aver avuto modo di sapere prima da quale altro mondo sarebbe stato attirato.
Si abbandonò alla forza di gravità e presto, prestissimo, si trovò riverso su una spiaggia. Cercò subito di alzarsi. Nel vecchio mondo la malattia lo aveva divorato al punto di immobilizzarlo in un letto. Invece i muscoli risposero e si ritrovò in piedi, ben piantato sulle gambe.
In quell’universo qualcosa gli era andato diversamente, per fortuna.
Mentre si diceva quello, gli prese la nostalgia dei suoi, voleva riabbracciarli prima possibile.
Lasciò la spiaggia e cercò con gli occhi un taxi, affondando le mani nelle tasche alla ricerca del cellulare. Ne estrasse una specie di smartphone che aveva tutta l’aria di andare ad energia solare. Frugò la rubrica.
Non lesse nessun nome familiare, passò allora ai messaggi e poi alle ultime chiamate fatte e ricevute. Nessun cuoricino da sua figlia, nessuna lista spese da parte di sua moglie, nessun comunicato telegrafico di suo figlio.
Eppure sapeva che come esisteva lui in quel mondo parallelo, dovevano esserci anche loro. Erano le poche certezze che la scienza gli aveva potuto garantire.
Dalle tasche aveva recuperato anche un portafoglio, senza carte di credito, senza foto, con dentro solamente un paio di banconote di piccolo taglio e la patente.
Camminando verso casa, gli sembrò di riconoscere suo figlio. Corse, esaltato dalla piacevole sensazione di poterlo fare, attraversò la strada e lo pinzò per un braccio.
Il ragazzo si voltò scocciato e Zach esclamò: - Ma che hai fatto!?-.
Il volto del giovane era deturpato dall’acne e dai piercing, lo sguardo dalle canne o da qualcosa di simile.
-Ma che cazzo vuoi- fece il ragazzo, incerto sulle gambe.
- Sono tuo padre, Selim. Non mi riconosci?-
- Mai avuto un padre, levati dai coglioni- sentenziò, scansandolo con difficoltà.
-Tua madre, tua sorella, dove sono? Ti prego - insisté Zach, disperato.
-L’ultima volta che l’ho vista, mia sorella, aveva sei mesi – rispose acido –l’hanno data in adozione a una famiglia perfetta. Per-fet-ta, capisci? Non come la mia! -.
Zach sudava freddo, ormai: -E tua madre? Dimmi di tua madre - .
-Ma sì certo, ora ti riconosco, sei davvero mio padre - disse, scrutandolo con disprezzo con gli occhi grigi e vuoti – Ti hanno fatto già uscire? Sgancia qualche centone per tutti i miei compleanni che non c’eri, stronzo -.
Si allontanò disgustato ma Zach lo seguì: - Ti prego Selim, devo sapere, dimmi dov’è tua madre -.
Il giovane si fermò: - Non ti ricordi proprio? Non ricordi più cosa le hai fatto?-.
Zach era sconvolto, cosa mai poteva aver fatto a sua moglie?
Vieni – gli disse Selim – tanto prima o poi avrei dovuto tornarci -.
S’infilarono nella metro e riemersero in una zona periferica, abbastanza verde. Entrarono in un istituto, percorrendo corridoi tutti uguali.
Eccola, l’aveva vista. Laura era seduta su una sedia a rotelle, davanti a una finestra.
-Ciao, mamma – fece Selim. Lei non mosse un muscolo, né si interessò dell’uomo che lo accompagnava.
-Cos’ha? Cosa le è successo?- fece Zach, accarezzandole d’impulso i capelli.
- Tu le sei successo, non ricordi, papà? -
Zach non capiva.
-L’ultimo volta che l’hai picchiata, papà- spiegò con stizza, poi rimase in silenzio un attimo, stupito che il padre mantenesse quell’espressione ignara – l’ultima volta che ti ho visto ubriaco, papà, l’hai scaraventata giù per le scale. Si è spezzata la schiena, ecco cosa le è successo. E’ stata in coma per più di due anni e quando si è risvegliata…-.
Zach era inorridito. Selim continuava a parlare, vomitandogli addosso tutto lo sconforto che aveva dovuto provare in quel periodo. A undici anni, con il padre condannato a cinque anni di carcere non gli era rimasto che finire in una casa famiglia.
Zach cominciò a ricordare i particolari di quella vita non sua mentre gli si sbiadiva nella mente l’altra. La moglie che rotolava per le scale, la polizia, il pianto irrefrenabile della piccola Helena in braccio al fratello e lui, ubriaco fradicio. Con sgomento, si rese conto che non riusciva più a ricordare Helena nel suo primo giorno di scuola, i suoi primi passi, i suoi saggi di danza.
La testa gli scoppiava, uscì di corsa dall’istituto e si lanciò verso il grande prato che costeggiava l’edificio.
Non si accorse che si trattava di una strada, non lo capì nemmeno quando un paio di mezzi, che transitavano silenziosi in volo radente, lo urtarono in sequenza. Rotolò tra i fiori, disturbando decine di api al lavoro.
Mentre moriva dissanguato e gonfio di punture, notò che stavano spuntando le prime stelle nel cielo.
Nell’ultimo istante della sua vita, associò con amarezza le parole “Six Stars” all’immensità che stava ammirando, senza saperne più il perché.

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